[beginning]

Molti studi letterari (da Barthes a Landow) sono arrivati alla conclusione che la forma ipertestuale permette un tipo di lettura più libera della lettura di tradizionali testi lineari. Da lettore di hyperfiction però, sento un grande limite ad attuare operazioni di lettura atipiche: sto parlando dell'inizio di un ipertesto e dello sviluppo di una interfaccia adeguata a lasciare da subito al lettore il controllo del testo. Voglio dire, quando tengo in mano un libro, posso aprirlo nel mezzo e iniziare a leggere da pagina 128, e allo stesso modo posso iniziare a vedere un film da un certo punto in avanti, e la cosa è molto utile se sto cercando di fare un'analisi del testo in questione (leggendolo più volte). Quando leggo una hyperfiction, specialmente una hyperfiction sul web, sono sempre costretto a partire dalla prima pagina, anche se poi non esiste nessuna seconda pagina.

William Gillespie

Non puoi guardare un film da un certo fotogramma in avanti. Ci riesci? Di certo non così facilmente come puoi iniziare a leggere un libro da una certa pagina. Voglio dire, se davvero ti vuoi passare tutta la pellicola nel proiettore fino a che non trovi il fotogramma, puoi farlo, ma ci impiegheresti un mucchio di tempo e rischieresti di rovinare la pellicola.

Mark Amerika

Primo, dobbiamo sbarazzarci della metafora della pagina. La pagina deve lasciare strada alla videata, e dal momento che il concetto di videata, almeno per le mie ricerche, è oggi chiaramente dipendente dal concetto di rete, dobbiamo capire come tutto ciò possa creare opportunità interessanti per ripensare l'autore e il lettore come artisti virtuali.

Shelley Jackson

Sei libero di aprire un libro nel mezzo? Sì, e un maratoneta è libero di salire sul metrò e arrivare primo, come ha fatto una volta una donna intraprendente a New York (o era Boston?). E' libera di farlo, ma non sta più correndo una maratona. Un lettore è libero di girare per il libro come vuole, ma questa non è una libertà che ci suggerisce il testo stesso, è una libertà che il lettore si costruisce da solo. Tutti i testi implicano dei lettori, sono la metà fissa di una performance di gruppo, e cercano con vari suggerimenti e coercizioni di guidare i propri partner verso un cammino comune. Il lettore in concreto è comunque libero di leggere come gli pare, ma il lettore implicito non lo è. Nel romanzo tradizionale, questa attività di lettura di guerriglia (e noi tutti siamo lettori da guerriglia) esiste in relazione ad un testo che è definito come un viaggio ininterrotto e a senso unico.

A me personalmente piace il lettore da guerriglia, e sono d'accordo nel dire che sicuramente i testi elettronici tendono ad aumentare la libertà di movimento testuale. In Patchwork Girl, la mia speranza è che le mappe e le viste rendano possibile al lettore capire dove si trova e studiare una linea di lettura. Il mio lettore ideale è capace di districarsi nel testo di Patchwork Girl esattamente come me (ovviamente devo anche accettare che i lettori reali possano fare qualcosa di completamente differente). Questa può essere la differenza più evidente tra Patchwork Girl e un romanzo: il mio lettore implicito E' un lettore da guerriglia. Legge un po' di narrativa lineare, ma salta anche dove le pare, andando a conoscere cosa c'è lì e come si relaziona con il resto, andando a scovare le proprie piste personali. In My Body, d'altronde, stavo pensando alla lettura come ad una specie di cieco scavare, nel quale il lettore si potesse perdere. Una specie di incontro sessuale, nel quale sei troppo vicino per avere una vista complessiva. Leggere come leccare. In questo lavoro, in altre parole, volevo prendermi un po' di libertà DAL lettore, per il suo stesso piacere, chiaramente. Penso che sia stato detto troppo sulla libertà del lettore negli ipertesti. La libertà non è né il risultato automatico né lo scopo ideale dell'ipertestualità. Ogni testo crea certi tipi di libertà per il lettore e ne nega altri.

Come affrontate il problema della prima pagina? Come scegliete la prima pagina nei vostri lavori?

Shelley Jackson

A me personalmente piacciono le prime pagine. Mi piace quella convenzionalità formale, il senso di trovarsi di fronte a un prtale. L'invito: entra e vieni a dare un'occhiata. Mi piace fornire al lettore una mappa, perché mi piacciono le metafore spaziali, l'ipertesto come un'installazione linguistica, attraverso la quale si può girovagare, e mi piace che i miei lettori familiarizzino con questo terreno culturale. Ma un'esperienza estetica si potrebbe creare anche lasciando il lettore all'oscuro. Posso immaginare la scrittura di un testo che non ha alcuna mappa, alcun punto di entrata privilegiato, alcun titolo. Per esempio, il World Wide Web.

(Non sapevate che sono stata l'autrice capo del Web? Scrivo sotto la copertura di numerosi falsi nomi, naturalmente, e quando gli altri invadono il mio lavoro, io entro nei loro siti e rimpiazzo le pagine esistenti con altre versioni molto simili ma concettualmente superiori, alla Pierre Menard. Che il pubblico non apprezzi questo lavoro è cosa indubbia, risvegliare l'indifferenza del pubblico è la mia ambizione e il mio talento particolare. Questo è il mio primo annuncio pubblico per reclamare la paternità letteraria. Naturalmente, questo è contrario alla mia ricerca di incomprensione come scopo estetico, punbto sul fatto che il pubblico decida che sto mentendo.)

Adrienne Eisen

Quando scrivo un ipertesto, scrive per un pubblico che è come me, e ho bisogno del conflitto per appassionarmi ad una storia. Ho bisogno di sapere immediatamente cosa c'è in palio, qual è il problema. Se non c'è nessun problema, allora non mi importa cosa succede. Uno scrittore russo (Tolstoj?) una volta ha detto qualcosa tipo "Tutte le vite felici sono uguali, tutte quelle infelici sono infelici in modo diverso". Ho bisogno di sapere rapidamente che sto leggendo di una vita infelice.

Di conseguenza per me un'ipertesto si deve aprire con un problema. Non ho voglia di cliccare cinque volte prima di incontrare il problema, allo stesso modo in cui non ho voglia di girare dieci pagine prima che succeda qualcosa. Non sono ancora riuscita a far sì che il lettore sia in grado di conoscere il problema senza controllare i primi brani di testo che un lettore incontra.

Nello stile di "qual è il problema?" è "qual è la soluzione?". Non tutti i problemi hanno soluzioni, probabilmente la maggioranza non ne ha. Ma tutti i problemi possono essere resi più chiari se ci si pone le giuste domande. Così per me, la fine di un ipertesto deve mostrare al lettore un finale chiaro o una visione chiara del problema (come la fine di "In the Bottom of the Lake" di Tim O'Brian - lui in effetti dice che non c'è nessun finale alla sua storia, ma per lo meno si può arrivare a capire di che tipo di infelicità sta scrivendo, cosa che all''inizio non era probabilmente possibile.)

Dirk Stratton

The Unknown ha affrontato a lungo questo problema. Io ho diffidenza per le homepage o pagine di default per le stesse ragioni che avete evidenziato voi. Cioè, volevo che "The Unknown" fosse un ipertesto il più "puro" possibile. Con questo intendevo dire che personalmente la cosa più interessante degli ipertesti è che consentono ai lettori una grande libertà nel sciegliere il proprio percorso di lettura e rendono il lettore un collaboratore attivo nella costruzione del testo. Ogni restrizione della libertà del lettore mi ripugnava, come se fosse una violazione dei principi fondamentali dell'ipertestualità (almeno come li intendevo io). Così per molto tempo The Unknown non ha avuto una prima pagina. All'inizio la prima pagina che abbiamo scritto è diventata la pagina di default…per default. E alla nostra prima lettura interattiva (dove consentiamo ai lettori di scegliere quali link seguire) abbiamo iniziato da quella prima pagina e poi lasciato che il pubblico ci conducesse nell'attività di lettura. Verso la fine per le nostre letture abbiamo iniziato a scegliere la prima pagina a seconda del pubblico: per esempio quando abbiamo letto alla Brown University, abbiamo iniziato con una pagina che parlava di una visita alla Brown (che per il vero era stata scritta sei mesi prima di aver ricevuto l'invito). Se questo metodo mostrava di funzionare per le nostre letture dal vivo, non risolveva il problema di quale pagina il lettore avrebbe trovato collegandosi a The Unknown on line. I nostri consulenti tecnici (quelli che si occupavano del nostro primo server) iniziarono a tormentarci con questo problema, e così alla fine abbiamo ceduto. Un weekend, mentre ero a Chicago a trovare Scott abbiamo deciso di far qualcosa per la homepage. Data la mia poca simpatia per il progetot, l'unico modo che mi lasciava in pace con me stesso era scrivere una pagina che comunicasse chiaramente le mie riserve sulla cosa. In effetti, alla fine abbiamo scritto una pagina di default che discute i pro e i contro delle pagine di default (se volete leggerla, la trovate all'indirizzo http://www.unknownhypertext.com/default.html).

Recentemente The Unknown ha scelto un'altra soluzione con il passaggio ad un nuovo server web. William ha creato uno script CGI che sceglie casualmente la prima pagina vista dal lettore (da una lista di una dozzina di pagine che ci sembravano tutte buoni punti di partenza). Se questo metodo non lascia al lettore la scelta del punto di partenza, è anche vero che toglie questa scelta anche all'autore, cosa che credo sia buona. Ora un lettore può entrare in The Unknown virtualmente senza alcuna interferenza da parte degli autori.

A questo punto lasciatemi discutere un po' alcune delle vostre considerazioni sulle frustrazioni derivanti da prime pagine inaggirabili e come tutto questo differisce da quanto accade altrove (siano libri, film o altro).

Se avete ragione nel dire che un lettore non è costretto ad iniziare un libro dalla prima pagina, rimane il fatto che i libri hanno prime pagine, e che è altamente improbabile che un lettore non inizi dove l'autore vuole che si inizi a leggere. Ogni lettura successiva sarà poi informata da quell'esperienza della ineluttabile natura lineare del libro. Quindi, se riprendi un libro e inizi a leggerlo a partire da un punto preciso, lo farai con la consapevolezza di quale posizione occupa quella pagina rispetto alla prima (e alle altre che la precedono). In altre parole, l'ordinamento degli eventi da parte dell'autore rimane il contesto nel quale si legge, anche se si decide di violare quell'ordine. In un caso come questo il disegno dell'autore rimane predominante, senza che importi come il lettore interagisce con quel disegno; un lettore può sempre rompere un po' le regole, ma non può mai rigettarle in toto.

L'ipertesto, d'altro lato, può (non lo fa sempre, come dirò dopo) alterare radicalmente questo "imperativo lineare" quando i suoi autori rinunciano ad ogni pretesa di determinare in quale ordine andrebbero lette le pagine. The Unknown, per esempio, è costruito in modo tale che una volta che il lettore vi è entrato, ha letteralmente a disposizione l'intero ipertesto: può andare dove vuole, quando vuole, senza alcuna restrizione. Ogni pagina contiene il metodo per farlo. Non c'è alcun ordine creato dall'autore da scoprire o da violare. Difatti, una delle lamentele più frequenti è che il nostro lavoro offre troppa libertà, che l'assenza degli autori induce ansia, perché certi tipi di lettori vogliono più direzionalità di quanta noi intediamo offrire.

In questo senso The Unknown è una specie di rarità nel mondo degli ipertesti. Ciò che mi disturba di molti ipertesti che ho letto è che gli autori hanno voluto tenere troppo controllo sul testo; le scelte possibili per il lettore sono così limitate che sembra di leggere un libro. Francamente non capisco questo impulso di ereggere questi segni a senso unico in uno scenario in cui non è necessario, ma anzi è sconsigliabile farlo. Anche nei supposti mondi ipertestuali liberati dall'autore, le vecchie abitudini sono dure da sconfiggere.

Credete che scrivere ipertesti significhi anche sviluppare interfacce di lettura?

Mark Amerika

Molto dipende dall’Interfaccia. Troppe cose di quelle che vediamo oggi sul web sono noiose e prevedibili, guidate da una mentalità da still life, da clicca qui, che equipara il cliccare al consumare. Quindi l’arte ipermediale, sia essa testuale o visiva o concettuale o un ibrido di queste, deve disimparare questo linguaggio da ecommerce che i capitani della cultura corporativa hanno reso assolutamente troppo comune.

William Gillespie

La scrittura ipertestuale è lo sviluppo simultaneo di un testo e di una interfaccia.

Dirk Stratton

Si, sicuramente. Penso sia un compito che ogni autore di ipertesti dovrebbe affrontare seriamente. E può risultare ovvio da quel che ho detto prima, sono piuttosto orgoglioso dell’interfaccia reader-friendly e reader-empowering che abbiamo sviluppato per The Unknown.

E per quel che riguarda la fine di una hyperfiction? Scrivete diversi finali o preferite che sia il lettore a chiudere la propria esperienza di lettura da solo?

Dirk Stratton

La mia prima risposta sarebbe che l’hyperfiction "pura" non dovrebbe avere fine, e che i lettori dovrebbero essere quelli che decidono quando fermarsi. Ma riconosco anche che l’ipertesto è stato usato (con effetti sorprendenti) per raccontare storie essenzialmente lineari; in questi casi dei finali prodotti dall’autore potrebbero avere un senso.

(Voglio chiarire il mio uso del termine "pura" perché non voglio che si immagini che ho stabilito ordini di rettitudine o cose del genere; ho usato quellaa parola in termini descrittivi, non critici. Il modo migliore per intenderci è di immaginare un continuum che registra quanto un autore controlla l’esperienza di lettura del proprio ipertesto. Gli ipertesti più "puri" sono quelli in cui l’autore ha meno controllo; questo è tutto. E anche se io personalmente preferisco questo tipo di ipertesti, non pensate che io creda che siano in qualche modo superiori a ipertesti in cui l’autore mantiene un controllo più diretto su ciò che il lettore può leggere e in quale ordine.)

Shelley Jackson

Nei miei lavori, la fine implicita (che è difficilmente la fine effettiva in ogni esperienza concreta di lettura) è quando hai letto tutte le pagine e hai esplorato abbastanza da avere un senso del tutto. Non sono fondamentalmente interessata a quel tipo di storie che si realizzano solo raggiungendo un finale appropriato. Preferisco cercare di dare ai miei lettori un piacere lungo il percorso, mentre costruiscono il loro proprio senso del tutto.

Mark Amerika

E’ importante vederlo come una sospensione, e non come una conclusione. Non c’è nessuna fine narrativa, vero, ma sono stato capace di esprimere possibilità narrative multilineari anche nei miei romanzi. O anti-romanzi, come hanno chiamato "The Kafka Chronicles" che, il lettore se ne accorge presto, è aperto a molteplici tipi di lettura (non devi per forza leggerlo da pagina uno a "La fine"). Sospendendo la lettura, si crea un riposo temporaneo. Il riposo è un bene. Puoi fare surf sul web per sei giorni di fila e poi, il settimo giorno, puoi salvare la tua esperienza e riposare. Quindi: lasciamo decidere il lettore (qualche volta devono scrivere anche loro).

Più in generale, l’ipertesto è un testo lineare con residui frammenti di linearità o è una realtà completamente alineare?

Mark Amerika

Ci sono molti tipi di ipertesti e la maggioranza, se li leggete con attenzione, sono costruiti convenzionalmente, come le vecchie favole moderniste, frammentate per creare effetti estetici, con un chiaro desiderio di totalità - <o> - dolce coesione. Veramente io ho qualche problema con tutto questo. Se volete una vera esperienza ipertestuale, digitate la parola "religioso" nel vostro motore di ricerca preferito e lasciate che comincino i click (il consumo).

Dirk Stratton

Non credo che si possa fuggire la linearità. La scrittura è lineare e nessuno può fare nulla per cambiare questo stato di cose. Sicuramente potete alcune delle convenzioni lineari che caratterizzano la scrittura, ma una "realtà completamente alineare"? beh, se qualcuno può mostrarmi una cosa del genere (che contenga scrittura) bene, ma fino ad allora…

Shelley Jackson

Non esiste un testo completamente non lineare. Il linguaggio ha un aspetto non lineare – le parole risuonano in una specie di simultaneità – ma noi possiamo leggere una sola frase per volta (o forse due o tre, ma non un numero infinito).

 

[net]

Quasi tutti i mass media degli ultimi due secoli hanno prodotto almeno una forma narrativa specifica, voglio dire: radio -> radio drama, cinema-> film stile hollywood, fotografia-> fotoromanzi, tv-> telenovele e fiction (e molto altro)…

Dirk Stratton

Ma queste sono poi delle forme narrative specifiche, diverse le une dalle altre? >Voglio dire, sono tutte fondamentalmente delle narrazioni. Sono più interessato alle loro somiglianze che alle diversità. Gli esseri umani crescono raccontandosi delle storie, sia che lo facciano attorno ad un fuoco in una grotta nell’Età della Pietra, sia che lo facciano nell’oscurità di un cinema.

Mi sembra che la rete non abbia ancora sviluppato una propria forma narrativa popolare e riconoscibile: forse questo ha qualcosa a che fare con le peculiarità di questo nuovo medium?

Adrienne Eisen

Credo che la narrazione interattiva si aancora lontana da quello che diventerà in futuro.

La larghezza di banda detterà i parametri della sperimentazione; oggi abbiamo una larghezza di banda relativamente piccola, e di conseguenza la sperimentazione è un po’ limitata. Strumenti come l’html e Storyspace incontreranno un bel po’ di competizione una volta che la banda sarà più ampia: l’intrattenimento interattivo diventerà remunerativo su larga scala, e Hollywood pagherà parecchio per avere strumenti per la narrazione interattiva. Anche gli scrittori incontreranno un bel po’ di problemi. In più, gli scrittori che lavorano ad Hollywood, che sono molto bravi a capire per cosa il pubblico di massa è disposto a pagare, non hanno ancora affrontato la scrittura interattiva perché non c’è modo di cavarci un dollaro per ora. Quando la larghezza di banda aumenterà, si muoveranno anche ad Hollywood ela narrazione interattiva diventerà una convergenza di diversi media più di quanto non sia ora.

William Gillespie

Beh, internet è un tipo divertente. Sta sperimentando un sacco di forme narrative diverse. Abbiamo narrazioni diaristiche (http://www.links.net) e abbiamo soap opera (http://www.zdnet.co.uk/athome/yahoo/may_26_97.html) e news (http://news.yahoo.com) e anche cartoni (http://www.flashfilmfestival.com)

Dirk Stratton

Probabilmente ha a che fare con la relativa novità di internet. I primi film erano sostanzialmente drammi teatrali ripresi dalla cinepresa; c’è voluto un po’ prima che i registi imparassero cosa il cinema, o meglio cosa loro potessero fare con il cinema (per esempio il concetto di mise en scene). Lasciamo che la rete maturi un po’ di più e poi potremo farci di nuovo questa domanda.

L’Hyperfiction potrebbe essere questa nuova forma narrativa che stiamo aspettando?

Shelley Jackson

Chi lo sa? Questa domanda può avere una risposta solo più avanti. C’è sempre un periodo viscoso nel momento in cui un nuovo medium cerca di separarsi chiaramente dai più vecchi.Anche se alcune persone, dolcemente rimbambite dalla novità, sono sicure che tutto sarà diverso in futuro (in meglio) e altri, nauseati, sono sicuri che d’ora innanzi tutto sarà diverso (in peggio), la verità è che è molto difficile distaccarsi dal passato. Stiamo cercando di immaginare una nuova forma, ma con un’immaginazione formata dai vecchi media. Una cosa che so per certa è che quello che stiamo facendo ora sembrerà molto ingenua più avanti nel tempo.

Dirk Stratton

Forse. Ma ancora, penso sia una domanda un po’ prematura.

Mark Amerika

La narrazione sul web sta diventando qualcosa di Altro, una specie di Retorica del Digitale. Quello che si prova leggendo e muovendosi (navigando) per la rete è più vicino ad una narrazione degenerativa, dove l’attenzione è costantemente sfidata e disturbata. Quel che si decide di fare della propria attenzione è quindi trasformato in esperienza narrativa immediata. Può essere di tutto, dall’interagire con un concept album in mp3 al partecipare ad uno spazio interattivo e in tempo reale attraverso la "scrittura" di un proprio personaggio all’interno di un MOO o di un canale IRC. Le possibilità sono molte.

William Gilliespie

Riguardo alla possibilità che l’hyperfiction possa essere la nuova forma che stiamo aspettando, l’unico e riconoscibile contributo di Mr.Internet alla narrativa, francamente non lo so.

Aspettate, voglio dire, sì.

Beh, forse aiuta di più o è più interessante pensare a internet come ad un sistema di distribuzione più che ad un medium, dal momento che è la confluenza di vecchi media (testo, fotografia, cinema) e nuove tecnologie.

L’Hypertext Markup Language, anche se non ha inventato l’hyperfiction, l’ha resa accessibile a tutti (la gente sa cosa sono i "link") e ha garantito a tutti un sistema libero, semplice e non proprietario per scrivere ipertesti.

 

Scrivere per la rete comporta anche la ridefinizione del vecchio concetto di copyright. Avete paura di questo? Come state affrontando (voi o i vostri editori) i problemi derivanti dal copyright su internet oggi?

Shelley Jackson

Sono interessata alla pirateria e al plagiarismo. Non sono interessata al copyright, se non quando garantisce una qualche entrata agli spiantati e punisce i potenti, che sono, purtroppo, i suoi usuali beneficiari.

Dirk Stratton

The Unknown non ha un editore. Ma ne vogliamo uno.

William Gillespie

Abbiamo appena scoperto che una recensione, pubblicata in origine su Technology Review, del nostro romanzo ipertestuale gratuito The Unknown è stata venduta (illegalmente, senza il permesso dell’autore) su internet.

(http://www.contentville.com/product/product.asp?ProdID={F1413AA4-3D6C-46C4-9223-F010602787DA})

Chi vorrebbe comprare la recensione di un romanzo gratuito invece che leggersi il romanzo? E che specie di parassita può cercare di rubare e vendere una recensione?

Scusate, qual era la domanda?

Mark Amerika

Provate il copyleft, cioè lasciare una copia gratuita agli altri, di modo che la possano prendere e ridistribuire gratuitamente attraverso i propri network. In questo modo potete creare una cre/pa (divisione) tra l’essere intellettuali e l’essere proprietà.

 

Preferite scrivere per internet o per il mercato del multimedia su cd (tipo Eastgate)? Ci sono delle differenze?

William Gillespie

Una dele differenze e che internet è un sistema di distribuzione gratuito, istantaneo, mondiale e senza rivali nella diffusione dell’informazione

Un’altra differenza è che internet non ha redattori che rifiutano il tuo lavoro.

Mark Amerika

La risposta è semplice: internet è il modello di distribuzione e pubblicazione più radicale di sempre per l’arte e la scrittura. Punto e basta.

Shelley Jackson

Mi piace scrivere per la rete, perché il pubblico è immenso e non pre-selezionato da un interesse specifico per gli ipertesti sperimentali. Mi piace il fatto ch enon costi nulla leggere i miei lavori on line, posto che avete già pagato la connessione a internet (e rubato un computer). Mettere il mio lavoro in rete è un gesto di fiducia nei lettori e nel valore intrinseco di creare qualcosa di strano e difficile da spiegare. Nessuno si aspetta di guadagnarci qualcosa (a parte quel misto di piacere e tristezza che mi dà lo scrivere). Questa rara e bellissima virtù è anche il problema: non ci guadagno un soldo!

 

[future]

I nuovi strumenti di sviluppo nel campo del multimedia (Flash, Director, Toolbook) sembrano favorire una forma d’arte digitale lontana dalla parola scritta e vicina ad altre forme di espressione (cartoon, musica, arte visiva, design, teatro, fotografia, fumetti, cinema). D’altra parte, al di là di sperimentazioni portate avanti da dipartimenti universitari, c’è una forte perdita d’interesse nella parola scritta in genere.

Dirk Stratton

Sono scettico davanti a quest’idea che ci sia una "forte perdita d’interesse nella parola scritta in genere" – su che cosa basate questa affermazione? Ricordate le grandi profezie di qualche anno fa su come i computer ci avrebbero portato ad uffici senza carta? Difatti l’uso di carta è aumentato esponenzialmente. E cosa c’è sulla carta? Non ci sono solo grafici a barre, questo è certo. E che dire dell’esplosione dei servizi di email? Un bel po’ di parole circolano lì in mezzo. uahhjhssqdddddddQuando leggo il numero di libri, giornali e riviste pubblicati ogni anno faccio davvero fatica a credere che rifletta una forte perdita di interesse nella parola scritta.

Adrienne Eisen

Una volta che la larghezza di banda sarà ampia abbastanza credo che il mercato di massa per la narrazione interattiva sarà più simile al cinema che ai libri. Sarà un po’ come cinema e libri ora – la maggioranza guarda film, pochi leggono libri.

Mentre il mercato dei media interattivi cambia per imitazione verso il modello del mercato dell’intrattenimento attuale, anche i processi di produzione cambiano. Infatti i media interattivi si stanno già muovendo verso un modello di studio, dove gli scrittori sono solo una parte di una produzione più ampia. Per esempio da POP e da Icebox (tutte e due imprese di produzione di Los Angeles) gli scrittori lavorano con i designer, e viceversa, così con il maturare della narrazione interattiva lo steccato si farà più alto e ci sarà poco spazio per designer che scrivono e per scrittori che scarabocchiano con Photoshop e Flash.

In questo scenario, credo ci sia spazio anche per una Eastgate – una compagnia che si interessa all aparola scritta e non cerca lo stesso pubblico di POP e Icebox. Forse, quando l’industria maturerà, POP e Icebox compreranno diritti da Eastgate allo stesso modo in cui gli studio fanno ora con Random House.

 

Siete interessati a mescolare la scrittura narrativa tradizionale con altri media?

Dirk Stratton

Sì.

William Gillespie

Sono interessato ai nuovi significati che possono emergere dall'intersezione tra media che prima erano visti come separati, ma in generale non sono interessato a del testo che è semplicemente mascherato con font particolari e colori sgargianti e animazioni che distraggono e musica vibrante, o testo che diventa illeggibile perché è stato mescolato con troppi livelli di suoni o immagini.

Badate anceh all'aspetto visivo dei vostri lavori?

Dirk Stratton

Sì.

Adrienne Eisen

Mi ritengo una scrittrice e una site architect (dal momento che scelgo l'ordine nel quale il lettore incontra ogni pezzo del mio lavoro). Non sono una designer.

L'iperscrittore che verrà sarà anche un fotografo o un musicista?

Dirk Stratton

Sicuramente non farà male, ma no credo che sia assolutamente necessario.

William Gillespie

L'iperscrittore che verrà non è una persona con una sola abilità e nemmeno una sola persona. Il modello collaborativo diventerà più comune del modello autoriale del singolo. La fotografia e la musica sono solo due dei molti canali che possono confluire nei nuovi media. Un giorno, usando la realtà virtuale, ci sara spazio anche per la scultura e per l'architettura sul web. Forse posso dire che l'iperscrittore del futuro, non importa quanto bene saprà lavorare con mezzi artistici, dovrà sapere lavorare in gruppo con altre persone. E una di quelle persone dovrà sapere qualcosa di computer.

Mark Amerika

E' una buona domanda, una domanda che sto affrontando nella mia attività di ricerca qui alla University of Colorado, dove sto portando avanti un curriculum in Internet Art. Le risposte non sono facili perché tutto dipende dal singolo artista o dal gruppo di artisti. La maggioranza della net art che vedo oggi contiene qualche elemento testuale. Chiaramente in un lavoro come Grammatron, il testo è lampante. Ma nel mio secondo grande progetto, Holo-X, che ho creato insieme a Jay Dillemuth, l'accento è sulla realtà virtuale e sull'esperienza in tre dimensioni 8anche se c'è pure una componente testuale). Il mio terzo progetto, PHON:E:ME, è stato più un esperimento su suono e design, cioè remix tipo Dj e testo animato che diventa arte visiva animata. PHON:E:ME è anche un lavoro di arte concettuale on line. Molti altri csrittori di mia conoscenza stanno andando in questa direzione. Quindi forse l'iperscrittore, l'artista virtuale, non va più collocato nel futuro, ma è già qui!

Che strumenti state utilizzando per scrivere i vostri ipertesti?

Mark Amerika

Tra gli altri html, javascript, vrml, animation, video, real audio, mp3, shockwave, flash, 3-D audio, eccetera. Ma gli strumenti sono usati sempre per raggiungere fini narrativi, retorici, concettuali, visivi.

Dirk Stratton

BbEdit per l'html (sto imparando a usare dreamweaver, che glia tri deu miei collaboratori usano di solito). Sto lavorando su alcuni ipertesti che ho iniziato a scrivere a penna, ma la versione finale chiaramente starà nel ciberspazio e avrà bisogno di qualcosa tipo Dreamweaver per essere ultimata.

William Gillespie

Dreamweaver, Photoshop, Illustrator, Inspiration, ImageReady, Word, Pico, penna, carta e inchiostro.

 

 

 

[writing]

L'unità elementare che costituisce l'ipertesto è chiamata lessia - per usare un vocabolario barthesiano, grammo - se usiamo invece il vocabolario di Derrida, o pagina, se usiamo la terminologia della rete. Come scegliete di dividere il vostro testo in singole unità? Voglio dire, rispettate per esempio la classica unità di azione (o di tempo, o di spazio) nel fare le vostre scelte?

Adrienne Eisen

Quando scrivo mi assicuro che ogni unità ipertestuale contenga un qualcosa che spinga il lettore avanti nel testo - un conflitto chiaro e una via verso la soluzione e il payoff alla fine - e tutte le unità dovrebbero partecipare alla creazione di una più grande sequenza conflitto - soluzione - payoff. Penso che la natura della vita è data dal fatto che questa sequenza è spesso incoerente, e l'ipertesto funziona bene per far risaltare questa incoerenza di fondo.

Dirk Stratton

Con The Unknown i ltermine adottato era "scena", del tipo "Dirk, scrittore nullafacente che non sei altro, è ora che scrivi una scena per The Unknown". Dal momento che The Unknown contiene liste, poesie, dialoghi, prosa saggistica e buona vecchia prosa di fiction, oltre a svariate altre cose, "scena" è stato usato in maniera piuttosto libera. Tuttavia, per esempio, le parti di fiction sono per la grande maggioranza indistinguibili da altri pezzi di fiction convenzionale; hanno un inizio, un mezzo, una fine e così via. Ogni tanto scene più grandi sono state divise in più pagine da leggersi in sequenza, ma per la maggior parte le "scene" erano disposte una per pagina.

Shelley Jackson

La mia scrittura sembra disfarsi in pezzettini da sola. (Anche la mia scrittura per la stampa è fatta di pezzi brevi, e li mescolo ossessivamente prima di decidermi sull'ordine finale). Non penso assolutamente, almeno non consciamente, all'unità d'azione o simili! L'unica risposta è che non c'è nessuna risposta: alcuni pezzetti potrebbero essere letti come prosa poetica, come i quadrati della sezione Quilt in Patchwork Girl, altri sono brevi scene all'interno di una sequenza narrativa, altri spingono il lettore verso una linea di ragionamento. In My Body la maggioranza delle pagine si chiamano come parti del corpo, ed è proprio di questo che parlano.

William Gillespie

Lavorando a The Unknown ho finalmente imparato che ogni pagina deve funzionare di per sé stessa allo stesso modo in cui deve funzionare (in modi molteplici e difficili da prevedere) nel contesto più ampio dell'ipertesto. Ho cercato di fare di ogni pagina una piccola piccola storia con una fine, in modo da compensare il fatto che la forza narrativa doveva abbandonarsi alla multisequenzialità.

Utilizzate lo stesso metodo di suddivisione del testo in tutti i vostri lavori? Mentre scrivete sapete già quali parole diventeranno link o quella è una fase successiva?

Dirk Stratton

Dipende. Ho fatto in entrambi i modi. Comunque di solito evidenzio almeno alcuni dei link mentre scrivo. Scott d'altra parte fa i collegamenti solo dopo aver scritto tutto.

Shelley Jackson

Per me scrivere e linkare sono due fasi separate. Forse sono una scrittrice naturale di ipertesti, perché sembra che sia assolutamente incapace di scrivere una storia dall'inizio alla fine. Tutto quello che scrivo viene fuori in piccoli pezzetti, come tanti maccheroni (che mi fanno pensare alla fantastica ma poco usata parola "maccheronico", cioè messo assieme da un mucchio di fonti diverse, una parola che avrei utilizzato in Patchwork Girl se l'avessi saputo in tempo). Per scrivere un romanzo devo prendere tutti i maccheroni dalla pentola e infilzarli uno ad uno, sia che segua una trama sia che usi qualche altro modello di sequenza narrativa. E' una specie di linkaggio ipertestuale - la linearità è il caso limite dell'ipertestualità - bisogna solo decidere un percorso (sperando che sia il migliore) e ignorare tutti gli altri. Con gli ipertesti multilineari devi ancora prendere decisioni, ma ti si aprono altre possibilità estetiche: puoi usare un percorso per commentarne un altro, fare percorsi quasi paralleli (come in Patchwork Girl, dove ci sono due strade che divergono per un po' e poi si ricongiungono), puoi obbligare il lettore a prendere decisioni…

La cosa che mi interessa di più è usare l'ipertestualità per creare nuove strutture formali. Come ho detto, mi piacciono le metafore spaziali, tipo il corpo, la coperta, il cimitero. In questi casi, il pattern, l'unità, ha una sua logica che determina i link. Anche nei miei testi lineari sono sempre alla ricerca di unità formali, che oppongano resistenza alla linearità della trama e creino una sorta di spazialità implicita.

Come scrittore dilettante di ipertesti spesso ho la sensazione di essere nella stessa situazione di un montatore video, più che in quella di uno scrittore tradizionale, specialmente quanto devo organizzare i link tra le pagine. Sembra anche a voi?

Shelley Jackson

Per me fare ipertesti no assomiglia affatto a fare film. I film sono lineari, almeno per ora. Scrivere un romanzo piuttosto è come fare un film…

Dirk Stratton

Buona analogia. Anche se non ci avevo mai pensato prima, sospetto che lo farò in futuro.

Mark Amerika

Sì, potemmo chiamarla una orchestrazione di effetti di scrittura. Questi possono essere tesuali, sessuali, ipertestuali, qualsiasi altra cosa. La cosa importante è prendere quel "grammo" e creare applicazioni narrative da sogno che possano far disabituare dall'esperienza canonica di web surfing. Lavorare contro i link, anche se si sta linkando. Unità discrete di testo sono ok, e ogni tanto funzionano, ma come "risuonano" le parole, o meglio i riff linguistici dello scrittore-in-network, con i modi di produzione culturale oggi disponibili nell'ambiente dei nuovi media? Ragionando sulla risposta a questa domanda speriamo di liberarci di metodo, genere, e bisogno di costruire un vocabolario modellato sull'arte e sulla scrittura del ventesimo secolo.

In generale, quali possono essere le differenze tra il processo di scrittura narrativa lineare e ipertestuale?

Mark Amerika

Per me nessuna. Ma è perché i miei romanzi sono già hyperfiction.

 

[roots]

Questa è abbstanza semplice. Potreste elencare qualcuno degli ispiratori della forma ipertestuale tra gli scrittori del passato? (scrittori che hanno influenzato non il vostro stile ma la decisione di scrivere ipertesti invece / oltre che fiction tradizionale)

Mark Amerika

Troppi per essere elencati qui, ma li potete trovare tutti su Amerika Online

http://www.altx.com/amerika.online

Dirk Stratton

Per me, il fascino delle note a piè pagina di tutti i tipi (da quelle dei fogli accademici a quelle di un romanzo come "Infinite Jest") è stato la maggiore ragione della mia attrazione per gli ipertesti. L'ipertesto è il generatore di note definitivo.

Shelley Jackson

Sterne, Borges, Calvino, Cortazar, Nabokov, Queneau…

William Gillespie

Non è esattamente una risposta, ma i seguenti scrittori sono alcuni di quelli che hanno influenzato il mio stile, mi hanno stuzzicato con la sperimentazione letteraria, e indirettamente mi hanno portato alla fiction e alla poesia multisequenziale per la pagina prima e per il computer poi: Julio Cortazar, May Swenson, Raymond Queneau, Lyn Hejinian, Harry Mathews, Bernadette Mayer, Italo Calvino, Virginia Woolf.

I vostri iper-lavori hanno rinunciato a raccontare una storia?

Dirk Stratton

No. D'altra parte credo sia impossibile rinunciare alla narrazione, non importa quanto uno ci provi. Essere umani significa essere coscienti, usare coscienza. E la coscienza è essenzialmente un meccanismo narrativo, è così che funziona ed è così che è: la storia continua di "Io". Quindi tutto quello che la coscienza tocca viene "infettato" dalla narrazione. Questo include tutti gli iper-lavori, non solo il mio.

William Gillespie

Cerco ancora di raccontare una storia, anche nella mia poesia, nel teatro, nei videogiochi.

Adrienne Eisen

Ho iniziato a scrivere seriamente intorno al 92. Nel 1993 qualcuno mi disse che non avrei mai potuto scrivere un romanzo perché tutto quello che scrivevo era lungo una pagina, contenuto in se stessa.. Lo stesso anno incontrai gente che lavorava alla Philips Media, cercavano di immaginarsi cosa mettere nel primo CD-I (il precursore del cd rom). Allora realizzai che la mia scrittura si sarebbe adattata perfettamente a quel medium, così ho iniziato a dire in giro che scrivevo narrativa interattiva.

Per diventare una migliore scrittrice di quel che volevo scrivere mi sono messa a leggere tutte le storie brevi che mi capitavano sotto tiro. Poi ho letto anche antologie di storie brevi per capire cosa fa diventare "qualcos'altro" un mucchio di storie brevi.

Shelley Jackson

No. E sì. Dipende dal lavoro. Se la domanda è, dobbiamo rinunciare a raccontare storie, la risposta è no. Ma sono interessata a molte cose oltre al raccontare storie.

Consideri i tuoi lavori più simili alla poesia (o al teatro, o ai videogiochi, o a qualcos'altro) che alla narrazione?

Mark Amerika

La Cnn l'ha chiamata Internet Art, e anche il Whitney Museum. Usa Today l'ha chiamata I-art. Forse loro sanno qualcosa che noi non sappiamo?

Dirk Stratton

No. The Unknown è più vicino alla fictionche a qualsiasi altra cosa. In ogni caso non credo che fare distinzioni del genere serva a qualcosa.

Shelley Jackson

Spero che il mio lavoro metta in dubbio il desiderio di classificarlo.